Presentazione del CD

J. S. Bach: "Il Clavicembalo ben temperato"

Preludi e Fughe dal Primo Libro
del Capolavoro clavicembalistico bachiano
 eseguiti alla spinetta da
Roberto Rampini

 

Strumento utilizzato da Roberto Rampini per l'incisione del CD
(copia di una spinetta inglese del sec. XVIII)

 

"L'Elogio della spinetta"

di Roby Rempt

 

  Cara amica pianista,

    ho una bella novità da raccontarti: giovedì scorso, ore 15.30, mi è finalmente arrivata la spinetta che avevo ordinato sei mesi prima da un cembalaro (si dice così?) di Milano.

    La spinetta, come forse saprai, è una specie di clavicembalo ridotto all’essenziale: stesso meccanismo di base (corde pizzicate da un plettro inserito in un salterello), ma con un solo registro (vale a dire una sola corda per tasto), un solo manuale e le corde disposte obliquamente rispetto alla tastiera (mentre nel clavicembalo sono perpendicolari alla stessa e nel cosiddetto virginale parallele).

    Lestensione della mia spinetta è davvero notevole per uno strumento del genere: “ben” 5 (dico cinque) ottave, dal Fa al fa, con la tastiera tutta di legno (una meraviglia, non solo da vedere, ma anche da toccare: una sensazione assai più gratificante dalle solite, anonime e industriali tastiere plasticate!). Il passo dei tasti è naturalmente più ridotto rispetto alle consuete dimensioni del pianoforte: la mia, ad esempio, ha uno stichmaß (larghezza complessiva di 21 tasti diatonici) di 48,2 cm (rispetto allo standard pianistico di 49,5 cm), ed una “profondità” di soli 11,5 cm. Per un pianista sono misure davvero ridotte (prova a paragonarle, righello alla mano, con i tasti del tuo coda), ma perfettamente consuete per un qualunque organista-clavicembalista: modelli similari da me provati in laboratorio e a casa di due amici-colleghi presentavano una lunghezza dei cromatici ridotta addirittura a soli 5,5 cm!

    Benché apprezzi le cose antiche non sono però un convinto autolesionista (desidererei, se possibile, non rattrappirmi le mani anzitempo), così ho convinto il costruttore a realizzarmi una tastiera ragionevolmente comoda e confortevole (e direi che anche da questo punto di vista sono stato accontentato).

    Quali altre cose vuoi sapere? Sì, lo strumento è una copia di una spinetta inglese del ‘700, che ho fatto dipingere di un riposante color verde-salvia (vedi foto)! Ma le sorprese non sono finite, neppure dal punto di “vista“(?) olfattivo: appena sollevi il coperchio si sprigiona un delicato e gradevolissimo odore di legno verniciato (una sorta di inconfondibile “impronta... nasale” della bottega che lo ha prodotto) destinato secondo me a durare a lungo, almeno quanto le mie capacità assuefattive.

    Se poi ti azzardi (io ancora non l’ho fatto!) a tirar via un “blocchetto” posto a fianco del manuale, oooh!, meraviglia-delle-meraviglie: hai la possibilità di spostare a sinistra tutta la tastiera, abbassando automaticamente l’intonazione dello strumento di un semitono (da La 440 Hz a La 415), e ciò risulta utilissimo nel caso tu debba accompagnare (anche se non sai di preciso dove) alcuni strumenti “antichi”.

    Ti dirò che sono molto-molto-molto contento della spesa fatta (quanto? all’incirca il prezzo di un buon verticale) per diversi motivi, da me particolareggiatamente illustrati in un articolo (intitolato “L’elogio della spinetta”) che sarà presto pubblicato dalla rivista “Tuttocembali”.

    Non credere però che un solo articolo, per quanto... “articolato”, possa esaurire le innumerevoli tematiche inerenti a questo strumento: la materia è davvero sterminata, e non mi meraviglierei se qualche esperto prima o poi ci scrivesse su addirittura un libro dalle interessanti implicazioni filosofico-musicali, dandogli magari uno di quei buffi (e astuti) titoli “che tanto fanno vendere”, del tipo “Bach e l’arte della manutenzione della spinetta”) ...

    Se a questo punto, giustamente incuriosita, vuoi una breve anticipazione del mio articolo, beh... sei costretta a continuare la lettura!

    “La spinetta rappresenta il massimo dell’essenzialità alla quale un tastierista (inteso, questi, nell’accezione più generale del termine) può mai aspirare nella sua (breve) vita musicale, sia dal punto di vista esecutivo che sonoro: tutto è affidato alle sole dita (niente pedali, grazie!), non potendo in questo caso confidare sulla complicità di qualche comodo benché suggestivo effetto sonoro oppure ricorrere a qualche intrigante “artificio” che renda il suono più vario e/o gradevole.

    Mentre il pianista può infatti contare su un’ampiezza sonora variabile da una a tre corde per tasto, percosse nella più grande varietà di sfumature possibili e immaginabili (e l’organista, da parte sua, giocare sulla molteplice quanto illusoria tavolozza timbrica offerta dai “registri”), nella spinetta la “vita” dell’esecutore-equilibrista è appesa ad un unico, sottile filo (di ottone o di ferro) che non conosce compromessi di sorta: o quest’ultimo viene pizzicato da un sufficiente “scatto articolatorio” del dito oppure (mi spiace, ma qui non c’è spazio per le dita pigre o indolenti) sarà per la prossima volta!”

    A proposito, apro una parentesi (fra le tante): la prossima volta che vedo Paolo voglio suggerirgli (visto che è un musicoterapeuta davvero “coi baffi”) di sviluppare quello che, a mio parere, potrebbe rivelarsi un interessante e innovativo filone di studi nel settore: “La spinetta come strumento di recupero psico-musicale negli stati frustrativi organistici” (abbinati magari ad opportune sedute spinettoterapiche).

    Tu, giovane e spensierata pianista, forse te la ridi di queste cose, non potendo capire in profondità il dramma esistenziale vissuto da tutti coloro che, come il sottoscritto, sono stati per vocazione chiamati ad intraprendere lo studio di quello che è ancora pomposamente soprannominato “re degli strumenti” (o “pontefice”, a seconda delle tradizioni locali).

    Perché è importante la spinetta per un organista (soprattutto se di “confessione bachiana”)? Perché rappresenta in primo luogo lo strumento della sua piena affermazione “laicale”, facendogli finalmente recuperare (almeno tra le proprie mura domestiche!) la perduta libertà esecutiva, affrancandolo in parte da certe secolari, italianissime e clericali pretese (che vorrebbero trasformare il giovanile entusiasmo del “volontariato” liturgico-organistico in perpetuo “vassallaggio”, da svolgere vita-natural-durante “a costo zero”, s’intende).

    In secondo luogo perché la spinetta sviluppa nel (-l’economicamente) povero organista un benefico e rassicurante senso di stabile proprietà, alla stregua di qualsiasi altro comunissimo e mortale violinista, flautista, ecc... ecc... Orsù, siamo sinceri: quale organista di chiesa anche titolare (magica parola!) può onestamente considerare l’organo come personale strumento? Forse nell’improbabile caso in cui possieda anche la relativa chiesa...! (1)

    Ora ricordo: qualche mio compagno di studi-collega (tirando un po’ la cinghia) è riuscito a “farsi” l’organo da studio in casa (tentazione che in tempi remoti ha sfiorato più volte anche la mia mente, lo ammetto)....

    Tuttavia mi chiedo, con quel briciolo di saggezza acquisita durante gli anni, se ha davvero senso negare all’organo ciò che ha, ormai da secoli, irrinunciabilmente conquistato: l’indispensabile e adeguato spazio (preferibilmente sacro) in cui espandere il proprio voluminoso suono. A mio parere non c’è niente di più ridicolo e musicalmente deprimente di un organo (anche piccolo) che suona “a secco”, privato cioè di un minimo di ragionevole riverbero.

    Scientificamente parlando, ciò non equivale forse a sottrarre un animale dal suo originario “habitat” per rinchiuderlo nella gabbia di uno zoo? Se poi, per risparmiare “all’osso”, si limita lo strumento ai più ovvii registri di base (8-4-2 o addirittura i soli 8-4) l’operazione sfiora quasi il patetico: riconosci sì che è un organo, anche se di una classe sociale un po’ avvilente: quella dei “re detronizzati”...

    La spinetta invece, pur nella sua povertà esistenziale, comunque “la giri” non cambia (vorrei vedere), non conoscendo particolari “momenti di gloria”, d’accordo, ma neppure umiliazioni di sorta: resta sempre e comunque una dignitosa spi-net-ta.

    Quando dunque finalmente mi siedo e mi “beo” dei suoi delicati e aggraziati suoni, lontano anni-luce dalle tentazioni fracassone di un certo pianismo, il mio pensiero corre fugato e pietoso al mio ex-“professorone” di Storia della Musica, il quale parlava del clavicembalo in termini melodrammaticamente dispregiativi, paragonandone il suono nientepopòdimeno che ad una “scatola di chiodi” (simili, se non peggiori epiteti erano riservati anche ai “miagolanti violini barocchi”, ecc...: il motivo di questa malcelata astiosità era evidentemente dovuta a suoi particolari conflitti musicologici, tuttora non risolti).

    Eppure la spinetta, con la sua equilibrata e nitida sonorità che ben si presta alle più complesse trame polifoniche, è proprio lo strumento che ci vuole (anche alle soglie del fatidico terzo millennio) per eseguire in modo rispettosamente coerente un repertorio che la spinetta non solo la preferisce, ma la esige, poiché permette finalmente all’interprete volenteroso di “rendere a Bach ciò che è di Bach”. Intendiamoci, non ho niente contro i Preludi e Fughe del “Clavicembalo ben temperato” clandestinamente eseguiti pure sul pianoforte (o addirittura sul sintetizzatore elettronico), sempreché suonati con intelligenza musicale: è arcinoto che gli spartiti del genio di Eisenach, alla stregua di certi “lavaggi pubblicitari” (e a differenza di altri prodotti) resistono infatti anche alle prove più dure!

    Però la spinetta alla fin fine ti fa capire più cose, (2) ti “inquadra” il pezzo nella sua cornice più autentica e convincente, ecco tutto.

    Il tocco della spinetta, poi, è qualcosa di veramente delizioso, sai? Puoi suonare stando “al pelo” della tastiera, quasi come se l’intero braccio fosse nient’altro che il naturale prolungamento del tasto, avente dunque la semplice funzione di “sostenere” il peso della mano e guidarla nei suoi necessari spostamenti. Per spiegarti meglio la faccenda, se me lo permetti, vorrei usare solo per un attimo la tecnica della moviola.

    Nel momento in cui sfiori il tasto avverti un minimo “gioco” che ti porta subito dopo ad incontrare una lieve “resistenza” nell’affondo: non hai fatto altro che portare il plettro a contatto della corda, e sei lì lì pronto per pizzicarla (se vuoi). Quando ciò avviene produci il suono e l’intero sistema “cede”: basta a questo punto un’inezia per tenere abbassato il tasto, un vero relax (niente da spartire con le complesse problematiche inerenti al “tocco pianistico” o, peggio, con le pesanti meccaniche di certi organi. Non parliamo poi (oibò) dei disgustosi e volgarissimi “molleggiamenti” offerti dalle trasmissioni elettriche-elettroniche...)!

    In questo senso, benché la spinetta manchi di differenziazione dinamica del suono, paradossalmente ti permette di sviluppare una maggiore “sensorialità” (ecco, questo è il termine appropriato!) ed un rapporto di tocco più diretto rispetto a quello del pianoforte (incredibile ma vero): quando su quest’ultimo abbassi un tasto, con la complicità dello scappamento “lanci” infatti più o meno velocemente il martelletto, abbandonandolo subito (ingrata!) al suo immancabile destino percussivo; con la spinetta resti invece a contatto della corda fino all’ultimo, accompagnando il plettro (sottile ma sostanziale differenza!) nell’istante del “pizzico”: una combinazione di delicatezza e decisione al tempo stesso che, a ragione, ti riconcilia col mondo (della musica, e non solo di quella). E allora volentieri le perdoni qualche risonanza un po’ più metallica del solito e (a quanto pare) quell’inevitabile ma tutto sommato simpatico singulto sonoro che il plettro produce sfiorando prima o poi la corda nel suo movimento di ritorno.

    C’è però un aspetto tutto particolare di cui ancora non ti ho parlato, ma che ogni bravo spinettista deve tenere nella giusta considerazione prima di iniziare la Grande Avventura: con la spinetta puoi cioè tranquillamente dimenticarti del tuo accordatore di fiducia!!... Calma: non perché non serva più, ma perché servirebbe troppo (!), al punto tale che sei costretto, per forza di cose, ad accollarti in prima persona l’onere-onore di dare allo strumento un “colpetto“ ogni tanto, ripassandolo in lungo e in largo e in media... diciamo una volta alla settimana.

    Mentre infatti il tuo pianoforte, pur sopportando una tensione spaventosa (20 tonnellate circa, lo sapevi?), possiede un telaio metallico perfettamente adeguato allo scopo, la mia cagionevole spinetta ha una spina (!) dorsale debole, e va inoltre protetta contro gli sbalzi eccessivi di temperatura e umidità. Un bella “gatta da pelare”, dici? Dipende dai punti di vista.

    Noi “moderni” viviamo ogni cosa in termini di specializzazione estrema, per cui se abbiamo bisogno di accordare il pianoforte telefoniamo subito all’accordatore, ma nel ‘600-’700 il musicista che aveva la spinetta scordata... se la ricordava benissimo senza problemi, e con la sola forza delle sue orecchie (cioè senza l’ausilio di sofisticate “protesi” elettroniche), temperandosi il clavicembalo con la stessa facilità con cui il disegnatore si tempera la matita (poichè anche questa pratica di “ordinaria manutenzione” faceva semplicemente parte del suo mestiere di musicista).

    Non sarei però obiettivo se, a conclusione di questo mio scritto elogiativo non ti confessassi anche i reconditi timori che mi hanno sfiorato l’altra sera mentre, per l’ultima volta nel corso della giornata, accarezzavo i tasti della mia dolce e amata spinetta prima di chiudere il coperchio e andare a dormire: chi mi assicura (forse più presto di quanto non immagini) che dopo questa indimenticabile “luna di miele” non si manifestino le prime inevitabili crisi causate dal “tran-tran” della quotidiana e ordinaria convivenza? Che cioè io gradualmente finisca col trascorrere buona parte del mio (sempre più ristretto e prezioso) tempo esecutivo-creativo a regolare la posizione di smorzatori ribelli, a sostituire plettri “cileccosi” sfilando e infilando continuamente salterelli dalle loro rispettive guide senza soluzione di continuità? Che non mi capiti addirittura, durante un’accordatura maldestra, di far saltare anche una sola delle 61+1 corde e doverla sostituire (non sia mai!) con le mie stesse mani? Se ciò dovesse accadere ho però già deciso in cuor mio: mi rassegnerò agli eventi senza ribellarmi, così come ho fatto, del resto, in tante altre spiacevoli e analoghe situazioni, considerando persino la spinetta (e la sua intrinseca fragilità) come una significativa e sonora “metafora” della vita stessa.

    E dopo quest’ultima filosofica riflessione “ad effetto”, giacché non voglio tenerti troppo sulle... spinette, brevemente concludo: 1) Mandando a quel paese ogni ulteriore disquisizione teorica. 2) Invitandoti domani a casa mia ad ascoltarla (e, se te la senti, anche a provarla).

    In programma: musiche di J.S.Bach (1685-1750). Ti aspetto, ciao.

 

            Roby

 

    (P.S.: Nel caso ti capitasse di leggere il mio articolo sopracitato per intero, tieni presente che ogni riferimento a fatti, persone o spinette è puramente intenzionale!).

 

Note:

1) In Italia, per organista titolare comunemente s’intende quella particolare figura di tastierista che, al di là di ogni effettiva (o presunta) disponibilità liturgico-musicale, riesce ad assicurarsi per primo l’utilizzo esclusivo di un organo da chiesa (sottraendolo ad altrettanto “rapaci” colleghi), in special modo se lo strumento è stato appena costruito (o, più frequentemente, restaurato). In tal modo l’organista titolare, oltre a fregiarsi dell’ambita e altisonante qualifica nel proprio curriculum, se ne serve per incentivare a proprio uso e consumo la redditizia pratica dei cosiddetti concerti-scambio (nei quali, per motivi tuttora inspiegabili, vengono sistematicamente privilegiati musicisti provenienti dall’estero, anziché molti bravi organisti nostrani).

2) Un esempio? Comprendi perché il cosiddetto super-legato è stato inventato nell’800 e non prima.

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