dal libro
"Sette Brevi Novelle ben temperate"
di Roberto Rampini

 

V - La strage dei meccanici

 

"La strage dei meccanici"
(illustrazione originale di Roberto Rampini)

 

      Solo poche centinaia di esemplari scamparono intatti a quella che nei secoli verrà ricordata come la Grande Strage, la pagina più silenziosamente nera che il Mondo delle Note, a memoria di strumento musicale, abbia mai suonato.

    Come i più smaliziati fra voi avranno senz'altro già intuito, ci riferiamo a quel funesto e sciagurato periodo persecutorio che si protrasse per decenni a partire dall'inizio del secolo scorso, durante il quale si manifestò una vera e propria furia meccanoclasta ad opera delle frange più estremiste del “Movimento Ciurciliano”, allora al potere.

    Ma andiamo con ordine, promettendo al ben disposto quanto ignaro lettore, fin da questo preciso istante, di esporre i fatti in modo obiettivo e dettagliato (ed evitando al contempo di dilungarci eccessivamente, giacché siamo all'interno di una novella, e per giunta breve).

    Le disgrazie, si sa, non vengono mai da sole, e quelle di cui siamo in buona parte responsabili sono frequentemente il risultato di un colpevole accumulo di errori e trascuratezze che nel tempo, seguendo una progressione di tipo esponenziale, provocano i disastrosi effetti di una vera e propria valanga.

    Così accadde a quella particolare specie di organi a canne (oggi per fortuna in via di ripopolazione, ma solo in particolari “nicchie” ecorganologiche, grazie alle benemerite iniziative dell'Organizzazione Mondiale per le Meccaniche Abbandonate), definiti dagli esperti “Organi a trasmissione meccanica”, o più brevemente “Organi meccanici”.

    Le prime avvisaglie del lento declino organistico-organario si manifestarono all'incirca verso la metà dell'Ottocento, quando i musicisti religiosi scesero per protesta unanimi sui sagrati delle chiese di mezza Europa a reclamare tastiere dal tocco più leggero. Le loro pur buone ragioni non vennero in un primo momento tenute nella giusta considerazione, anzi: molti organisti scioperanti vennero licenziati in tronco, accusati d'incapacità e di dilettantismo.

    La Controparte cioè sosteneva, con argomentazioni altrettanto fondate, che non si comprendeva il motivo di così improvviso accanimento su una questione che, dai lavoratori dei secoli precedenti, non era mai stata minimamente sollevata.

    Gli storici però concordano in proposito su un punto: l'involuzione armonica e melodica della società aveva finito inevitabilmente col contaminare anche il gusto e le tendenze stilistiche delle manovalanze musicali, le quali sempre più rifuggivano dalle severe fughe dei loro predecessori, trovando più comodo suonare con due mani anzichè con dieci dita.

    Lo scriteriato uso liturgico dei cosiddetti “bassi albertini”, di chiara matrice profana, permetteva infatti a qualsiasi operaio organista (che possedesse un pizzico di cantabilità) di risolvere d'incanto molti problemi musicali, e di funzionare (cioè suonare durante le funzioni) senza problemi, anche per delle ore, deliziando da una parte le orecchie dei popolani e degli sprovveduti e, dall'altra, riuscendo ad accattivarsi il consenso di quella influente schiera di “intenditori” dell'epoca (tutti 'casa, teatro e chiesa').

    Neppure gli stessi organari (che un tempo potevano ancora orgogliosamente fregiarsi dell'altisonante titolo di “Maestri Fabbricatori d'Organi”) furono esenti da colpe in questa deprecabile e diffusa degradazione del tessuto sonoro. Molti costruttori sciagurati infatti, pur di procurarsi il maggior numero di Commissioni, assecondarono senza scrupoli le voglie di famosi musicisti dell'epoca (che con l'organo, nonostante le ripetute e ipocrite professioni di fede, aveva nei propri spartiti… ben poco da spartire!).

    S'iniziarono così ad attuare strane modifiche, introducendo o sostituendo negli antichi strumenti qualsiasi genere di canna venisse loro richiesta, con l'unica preoccupazione di fare obbligatoriamente il verso a questo o a quello strumento, in ossequio alle imperanti mode sinfonico-operistiche: l'antico Serpente era purtroppo riuscito ad insinuarsi fin dentro ai tubi sonori…

    L'accumulo sconsiderato dei più inutili e strampalati registri, ad emulazione delle grandi orchestre (un virulente gigantismo sonoro che, verso la fine del secolo, contagiò in modo parossistico pubblico ed esecutori) cominciò a far perdere allo strumento la sua equilibrata e armonica fisionomia ed a gravare (non solo in senso figurato, ma anche fisico) sulla meccanica delle tastiere, che finì col risultare effettivamente pesante: in questo modo i colpevoli artisti ricevevano il giusto castigo del loro stessi peccati.

    Il definitivo colpo di grazia avvenne però quando alcuni sperimentatori prestati alla Musica, in un momento di lucida follia e di eccessivo zelo tecnologico, disgraziatamente pensarono di portare la benemerita elettricità (fino ad allora destinata ai soli motori che alimentavano d'aria la manticeria) là dove non conveniva, vale a dire anche nelle stesse tastiere e nella pedaliera. (...)

 

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